giovedì 15 novembre 2012



Telelavoro: le truffe chiamate “assemblaggio e confezionamento”



Oggi vi voglio parlare di due “annunci di lavoro” che in passato hanno truffato moltissime persone: parliamo in particolare del periodo legato ai primi anni di affermazione del telelavoroin Italia, anche se molti di questi annunci si possono trovare anche oggi girovagando qua e là per la rete.
Gli annunci di cui vi voglio parlare oggi per mettervi in guardia da possibili truffe recidive, sono quelli legati al “confezionamento” e “assemblaggio di pezzi”: si tratta in sostanza di lavori che richiederebbero un basso livello professionale ed una non troppo elevata esperienza nel settore, ed il guadagno in questi casi dovrebbe essere direttamente proporzionale al numero di pezzi ultimati.
Per fare qualche esempio riguardo il tipo di lavoro proposto, parliamo soprattutto di confezionamento e assemblaggio di cinture e cinturini, assemblaggio e montaggio di collane, orecchini, anelli, braccialetti e di articoli di bigiotteria, confezionamento di camicie, borse e borsellini, cinghiette, bomboniere, ed articoli per bambini come confezionamento e assemblaggio di giocattoli.
Questi lavori di confezionamento e assemblaggio sono tutti da demonizzare?
La risposta, come sempre, è assolutamente no: vi sono infatti dei casi in cui il lavoro sia realmente serio e venga effettivamente retribuito, ma è sempre molto importante premunirsi in anticipo per evitare poi spiacevoli situazioni.
Per esempio: una delle truffe che maggiormente si aggirava per il web riguardo questi due lavori, era quella di far investire al malcapitato del denaro, che poi sarebbe stato rimborsato a lavoro ultimato. In particolare, si chiedeva all’aspirante lavoratore di “pagare” i pezzi che avrebbe ricevuto a casa, con la scusa che l’azienda si sarebbe dovuta tutelare da eventuali furti illeciti: chi avrebbe ripagato la ditta, nel caso in cui il lavoratore fosse stato un venditore ambulante e si fosse impadronito dei pezzi, assemblandoli e mettendoli a sua volta in vendita?
Il principio potrebbe essere anche corretto, ma si basa sostanzialmente su una cattiva informazione – spesso voluta – e sull’idea che questi lavori dovessero essere “in nero”: anche nei casi di aziende un po’ più serie, non stipulando un contratto con il lavoratore, l’azienda ne usciva del tutto pulita e ci avrebbe guadagnato in ogni caso.
Se invece, come dovrebbe avvenire in generale per tutti i lavori, la ditta avesse stipulato un contratto con il lavoratore, avrebbe dovuto anche pagare gli eventuali contributi, e a quel punto non ci avrebbe più guadagnato. Diverso è il discorso delle aziende fasulle, ovvero quelle finte ditte che avevano come unico intento quello di fregare soldi al malcapitato di turno: i pezzi da assemblare non giungevano mai a destinazione, ed il povero lavoratore, in nome della “autotutela” dell’azienda, si ritrovava senza lavoro e con un gruzzoletto di soldi in meno.
Il consiglio è sempre lo stesso: diffidate dalle false promesse, non investite denaro per lavorare, e verificate sempre che l’azienda sia reale e seria.

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